Domino (prima parte)
Sarà difficile tornare indietro. Peggio ancora potrebbe essere quello che si palesa più avanti
Questa serie di approfondimenti era inizialmente intitolata “Le scelte che definiscono la Storia”.
In un secondo momento abbiamo deciso di sostituirlo con “Domino” perchè la Pandemia, con tutte le conseguenze che ha portato e porterà, sarebbe stata più che adeguata a riempire capitoli di libri.
Un altro motivo altrettanto importante è l’associazione con la “Teoria del Domino” (Domino effect theory), secondo cui con la caduta sotto il controllo di forze Comuniste di una nazione chiave per la stabilità di un continente o sub-continente le altre avrebbero rapidamente seguito.
Questa fu nello specifico postulata per l’Europa e la penisola Indocinese.
Con questo non intendiamo suggerire che la Cina riuscirà nell’arco dei prossimi anni a trasformare i due territori citati in incrollabili bastioni Comunisti.
É infatti più probabile che la cosa avvenga, come sta succedendo, pezzo dopo pezzo con il benestare o la quiescenza delle popolazioni locali.
La guerra in Ucraina spingerà inevitabilmente gli equilibri dello scacchiere mondiale in quella direzione.
Il crollo della Globalizzazione, la disfunzionalità dell’UE unita a lotte intestine per il controllo delle istituzioni di Bruxelles faranno si che la montagna di bugie usate per sostenere l’idea di un’Europa unita finisca per scatenare la tempesta perfetta per il Vecchio Continente.
Quello che giocatori come la Cina dovranno limitarsi a fare non è inserirsi in modo metodico all’interno di un tessuto politico-economico dalle regole bizantine sotto il controllo di Elite europee, ma bensì attendere che un animale ferito muoia come fanno gli avvoltoi.
Una volta crollato il sistema di “Enforcement” legale (per assenza di legalità o collasso economico) le singole nazioni saranno costrette a ristabilire il tessuto in modo zoppicante cercando di trovare un equilibrio grazie alle alleanze stabilite prima del collasso delle istituzioni.
Lì dove gli stati non saranno in grado di fare fronte a nuove forme di aggressione si inserirà molto probabilmente la Cina.
La seguente serie di analisi si concentrerà sull’invasione russa dell’Ucraina e sulle sue conseguenze geopolitiche proponendo una previsione globale nell’ultima pubblicazione.
Per comprenderne meglio il contenuto potrebbe aiutare la lettura del precedente approfondimento.
Il primo approfondimento è una descrizione sommaria dell’evoluzione del conflitto dallo scoppio fino alla ritirata da Kiev e dal nord dell’Ucraina.
Il secondo si concentra brevemente sulle conseguenze che questa guerra avrà sullo scacchiere mondiale a livello economico, geopolitico e sull’equilibrio delle potenze per poi riconnettersi alle prospettive dell’Ucraina.
Il terzo tornerà sui temi del secondo approfondendo concludendo le previsioni con un occhio sulla Russia.
Buona lettura.
Saremo onesti. Questo non è un approfondimento che volevamo scrivere. Tuttavia la Storia ha deciso di trasformare una situazione relativamente gestibile a livello diplomatico in un proverbiale Macello.
Alle 3 del mattino (adattato all’orario di Mosca e Kiev sarebbero le 6 e le 5) del 24 Febbraio 2022 le forze armate russe hanno avviato quella che dalle loro stesse conversazioni interforze è stata definita una “guerra lampo”, lanciando un numero approssimativo di 160 missili supersonici ed ipersonici per colpire obiettivi strategici ed, in particolare, velivoli ed aeroporti militari ed infrastrutture per i trasporti e l’energia.
Nemmeno un’ ora dopo dai confini a est e nord-est hanno fatto il loro ingresso caccia di quarta generazione, armati con bombe intelligenti da usare su depositi di munizioni, mezzi e volanti, insieme ad elicotteri da combattimento principalmente dei primi anni 90 come gli Hind (designazione russa Mil Mi-24) e gli Halo (designazione russa Mil Mi-26) per colpire di nuovo i bersagli di terra, distruggere le piste di atterraggio ancora utilizzabili e sbarcare le prime truppe in posizione più avanzata.
Qui si sono palesati i primi problemi.
L’intera strategia russa si basava sull’ipotesi di poter avanzare rapidamente in territorio ucraino conquistando, nell’offensiva e rapida cattura di Kiev e del governo, piccole città nevralgiche, distruggendo parte della rete energetica e ponendo l’esercito ucraino nella posizione di sentirsi alienato dalla fetta russofona della popolazione e con un appoggio limitato nel resto del paese.
Situazione simile si è palesata in realtà nel resto del paese dove il fronte più facile per i russi si è rivelato quello vicino la Crimea, regione ad alto tasso russofono e favorevole al Cremlino, ed ha visto fin da subito pesante avversione da parte di tutta la popolazione.
Quel che probabilmente si sarebbero aspettati a Mosca è, al di là di quanto già accennato, un rapido collasso del fronte ad est in quanto pesantemente colpito da ormai 8 anni di guerra di attrito su entrambi i fronti, che ha coinvolto una popolazione locale molto vicina al confine e tendenzialmente russofona (questo anche quando non di etnia russa). I fattori più influenti sarebbero dovuti essere l’ostilità verso le forze difensive ucraine, percepite in qualche modo come ostinate e distanti dalle necessità delle persone.
É avvenuto esattamente il contrario. Non soltanto il Donbass, ancora in mano ucraina, si è rivelato molto più difficile da circondare e soffocare (tramite una manovra a tenaglia fallita più volte grazie ad operazioni di sabotaggio), ma la popolazione ha fatto resistenza passiva in vari contesti rifutandosi di collaborare in qualsivoglia modo con l’esercito invasore.
Centrale da questo punto di vista è stato quasi sicuramente l’operato di Putin.
Affidandosi al FSB (comportamento in parte anomalo poichè già dai tempi della guerra in Georgia e Siria il Presidente della Federazione Russa ha preferito affidarsi ai militari, lasciando in secondo piano una fetta importante dell’ex KGB), e non potendo ricadere sulla ben più efficace SVR per via dell’opposizione di quest’ultima ad un’invasione, ha posto le basi per il fallimento delle operazioni di guerra psicologica nei territori ortodossi. Qui l’equivalente della CIA ha creduto di poter facilitare un rapido sopravvento delle forze locali filorusse fallendo (almeno due ufficiali del FSB sono stati arrestati in relazione all’invasione e sembrerebbe sia stata avviata la caccia alle spie occidentali dopo il rilascio di informazioni dall’interno dell’agenzia).
Tutti questi fattori hanno portato ad un impantanamento già dopo alcuni giorni di veloci raid da parte dell’aviazione, di missili russi e truppe aviotrasportate mirate a colpire infrastrutture, mezzi e facilitare i tentativi di movimento a tenaglia nel sud est ed a nord.
Proprio in quest’ottica le città di Mariupol e Karkhiv ed il loro tessuto metropolitano, che Mosca puntava a circondare o catturare facilmente negando ogni possibile resistenza, si sono rivelate due pesanti spine nel fianco facilitando o eseguendo operazioni di sabotaggio e rompendo ripetutamente le fragili linee di rifornimento.
Ciò ha creato un problema sia per la sostenibilità del fronte ad est e sud-est ma anche per l’arrivo di rifornimenti duraturi per le colonne che puntavano a Kiev.
Il risultato di questo mix di previsioni sbagliate e corruzione è una situazione tutt’oggi in gran parte irrisolta a seguito anche degli attacchi mirati ai danni dei camion per il trasporto di carburante e la distruzione degli allacci ucraini al sistema ferroviario russo e bielorusso.
Al contrario sembrerebbe che l’assenza di cibo, munizioni, equipaggiamento e mezzi affidabili sia molto presente, per quanto resti difficile da quantificare. Questo problema sembra infatti coinvolgere anche quei pochi battaglioni provenienti dall’Ovest.
In prospettiva però la situazione potrebbe cambiare nell’arco di qualche altra settimana di conflitto, ma al costo di vedere una Russia sempre più invischiata con un’opinione pubblica restia ad una lunga campagna militare.
Cos’era voluto e cosa, invece, il Cremlino voleva evitare
All’inizio del conflitto sono stati fatti molti paralleli tra i primi giorni della guerra in Iraq e quella attuale, forse nel tentativo di tracciare uno spartiacque che caratterizzasse il deciso ritorno della Russia al grado di piena superpotenza.
Come abbiamo già scritto il piano militare implementato dal Cremlino si è rivelato inadeguato nell’arco di qualche giorno, mostrando fragilità importanti nel sistema di approvvigionamenti e della spinta riformista moscovita.
Tuttavia un’altra componente è stata anche il “contingentamento” dei mezzi utilizzati sul campo.
Da questo punto di vista la propaganda russa è indicativa.
Fin dall’inizio essa ha descritto il conflitto come una guerra di “liberazione”, sostenendo che il fine ultimo fosse quello di distruggere infrastrutture e mezzi militari con lo scopo di “denazificare” l’Ucraina (crediamo sia più adeguato “sottomettere e costringere alla neutralità”).
Ciò è stato fatto principalmente ad uso e consumo della popolazione Russa, con i mass media interni che continuano tutt’ora a descrivere un conflitto limitato, se non nell’estensione del territorio almeno nel numero di mezzi, uomini e risorse.
Entrambe le considerazioni sono almeno una parziale bugia, ma unite al probabile obiettivo di contenere il numero di vittime civili spiegano il tentativo di stabilire corridoi umanitari (prevalentemente verso la Russia con l’obiettivo di ripopolare parte delle regioni più ad est) ed il rifiuto di un uso esteso dell’aviazione e dell’artiglieria (entrambe sono state centrali in quasi tutti i conflitti post sovietici ed in particolare in Siria portando ad un’evoluzione quasi medievale delle strategie e tattiche di guerra).
Il contingentamento non è stato totale visto l’uso di missili balistici, bombe a grappolo (usate anche dagli ucraini) e termobariche sulla popolazione civile e non, in seguito uniti all’uso di mercenari e truppe non regolari (in alcuni casi il reclutamento è fallito) per conquistare centri urbani percepiti come difficili da espugnare (oltre a vari errori di ingaggio da parte delle forze di terra con video di carri che sparano ripetutamente su auto con dentro civili).
Ci sentiamo in dovere di sottolineare ciò anche a fronte degli orribili avvenimenti di Bucha, un iniziale comportamento sistematico da imputare alla paura di un’insurrezione, al rischio di sabotaggi ed agli ordini di un comandante locale per rappresaglia o sfogo (riguardo all’attacco missilistico alla stazione di Kramatorsk che ha causato 30 morti temiamo sia stato un tentativo degli ucraini di fermare un iniziale esodo tramite i corridoii umanitari dal Donbass sotto il controllo di Kiev verso la russia).
Tutti questi elementi fanno emergere un quadro più chiaro del tipo di scontro che le alte sfere del Cremlino cercavano di combattere.
Tenendo sempre a mente i due elementi inizialmente menzionati-il fallimento della logistica e dell’approvvigionamento militare e quello dell’intelligence che non è stata in grado di coltivare un supporto adeguato dell’offensiva nel paese- che più hanno influenzato in partenza il conflitto, creando fenomeni a catena e causando la frattura dell’offensiva in cinque campagne militari diverse e senza un centro di comando coordinato (diversamente da quello ucraino che ha dimostrato di saper resistere ai tentativi di jamming ed interferenza delle comunicazioni grazie anche al supporto degli USA), si spiegano velocemente molte delle altre carenze.
Il crollo e la decimazione di molti battaglioni (particolarmente nell’area di Kiev e Karkhiv ma anche in quella di Kershon ed Odessa) a seguito di carenza di equipaggiamento adeguato (corruzione) sono il risultato di un pessimo supporto aereo limitato sia (come già accennato) per evitare morti civili, che per l’assenza di mezzi di comunicazioni aggiornati (le truppe russe usano tendenzialmente onde corte, radio ed altri mezzi datati e o facilmente penetrabili). Inoltre il supporto occidentale alle truppe ucraine a terra, la resistenza del loro Command and Control e l’uso di estese strategie di guerriglia (unita alla conoscenza del territorio) hanno fatto si che molta dell’avanzata russa mirata si impantanasse.
Penultimo tassello mancante è l’assenza di un utilizzo esteso di tecnologia per la guerra elettronica (dove i russi eccellono) e, anche qui, le motivazioni sono un mix di fattori influenzati pesantemente dai due elementi sopra citati.
Fondamentale è il rischio di interferenza con la stessa rete di comunicazione russa in caso di uso generalizzato che non sarebbe vantaggioso, per via della natura decentralizzata e di guerriglia degli ucraini la quale è garanzia di autonomia per il nemico.
Addizionalmente un uso più oculato resta difficile per via delle difficoltà a coordinarsi dopo la frammentazione dell’offensiva russa ed il rischio di un disfacimento degli assalti per via del malcontento delle truppe di terra che, come preventivato da ucraini ed occidentali, tendono ormai a fuggire in assenza di una maggioranza schiacciante sul campo.
Ultima questione è la capacità e la volontà russa di continuare l’offensiva.
La prima è stata colpita in modo abbastanza drammatico dalle sanzioni (dubitiamo queste siano sostenibili per l’Europa o efficaci sul lungo periodo tuttavia portano ad un non indifferente temporaneo effetto di deterrenza), la seconda invece è decisamente presente ma con alcune importanti eccezioni.
Molte delle conseguenze derivanti dal regime sanzionatorio occidentale sono state preventivate, incluso il blocco delle transazioni tra sistema bancario e Banca Centrale russa, tuttavia la ricaduta di queste sulle aziende private e l’ostracizzazione che le ha accompagnate sono due elementi molto pesanti, inaspettati e generalmente difficili da predire con certezza. Concentrandoci per ora unicamente sull’impatto che hanno avuto ed avranno sull’offensiva il risultato sarà (a condizioni immodificate nei prossimi mesi) quasi sicuramente di rallentare e poi bloccare vaste aree della produzione industriale russa, incluse armi e mezzi militari di penultima, ultima e prossima generazione.
Sotto questo aspetto saranno pesantemente colpite la produzione di caccia, bombardieri, elicotteri ed altri mezzi dell’aviazione insieme alla capacità di rifornimento di missili più avanzati come gli ipersonici Iskander, Kinzhal e qualsiasi altra munizione con elementi di teconologia avanzata che permettano di modificare la traiettoria.
Con il tempo Mosca troverà un modo di aggirare le sanzioni ma nell’immediato dovrà affidarsi ai depositi di magazzino (probabilmente già terminati per molti settori alla pubblicazione dell’articolo) ed alla produzione cinese (questa, come abbiamo già analizzato più volte, soffre di difficoltà con la miniaturizzazione e con la qualità deficitaria e la corruzione a livello pubblico).
Tutto ciò avrà conseguenze di elevata importanza ma non assoluta sulla capacità del Cremlino di continuare, o di sostenere, la sua offensiva in Ucraina.
Partendo dal presupposto che dubitiamo l’obiettivo fosse di conquistare tutto il paese nell’immediato, in quanto impossibile da gestire e pacificare con il numero di truppe e mezzi schierabili dai russi, l’attuale direzione del conflitto ci porta a credere che Mosca desideri rinviare una tregua il più possibile per poter vedere fin dove può spingersi nel sud/sud-est del paese con l’arrivo di truppe fresche entro maggio.
Date le difficoltà a rifornirle la domanda che i pianificatori militari russi si stanno ponendo è solamente dove riposizionare truppe e mezzi così da garantire una superiorità adeguata a spingere nell’entroterra e mantenerne il controllo.
Nel medio termine però la logica dovrà inevitabilmente cambiare.
Volenti o nolenti la resistenza ucraina è stata veramente eroica e gli errori e la corruzione dell’esercito invasore sono stati fattori di estrema rilevanza che, insieme al supporto della NATO, hanno pregiudicato molta della campagna militare.
Questi recheranno danno tanto al rinnovamento delle forze armate russe quanto alla loro reputazione per molti anni a venire e faranno si che il Cremlino si sieda su di una parziale vittoria.